lunes, 15 de marzo de 2010

Mateo Alemán e Guzmán de Alfarache


La Primera parte del Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, terminata nel 1597 e stampata a Madrid nel 1599, ebbe una grandissima diffusione in Spagna. Nel giro di pochi mesi fu ristampata due volte a Barcellona e una volta a Saragozza. L'anno dopo, di nuovo a Madrid, a Barcellona e in varie città europee, come Bruxelles (Bruselas), Parigi, Lisbona e Coimbra. Dell'aspettativa che lanciava l'autore nel prologo, dove si annunciava un'indefinita continuazione, approfittò il valenziano Juan Martí (Mateo Luján de Sayavedra) che nel 1602 pubblicò una Segunda parte de la vida del pícaro Guzmán de Alfarache, la quale riscosse uno straordinario successo, cui seguì la Segunda parte de la vida de Guzmán de Alfarache che nel 1604 si affrettò a scrivere l'autore del Guzmán, Mateo Alemán, vendicandosi ironicamente della continuazione apocrifa (ossia facendo di Sayavedra un personaggio del romanzo, quello del servitore infedele, cui riserva una morte per annegamento) e promettendo una terza parte che non vedrà mai la luce della stampa. Una terza parte apocrifa, invece, è quella scrisse il portoghese Féliz Machado da Silva nel 1650.
La tipologia delle avventure narrate ricalca la finzione autobiografica del
Lazarillo de Tormes, di cui si riprendono l'articolazione narrativa e le tematiche più peculiari, che tracciano un cammino umano degradante, miserabile, furfantesco . L'impianto ideologico, tuttavia, si trasforma sotto il peso della sensibilità controriformista che impone alla narrazione una vernice moraleggiante. Sin dal sottototilo, atalaya de la vida humana, il libro controbilancia l'apprendistato disonorante del pícaro -su cui si dipana un'accesa satira sociale- con la lezione didattica della cognizione della colpa, della possibilità di riscatto mediante il pentimento e della sua totale espiazione. Ecco così offerta una robusta giustificazione alla diagnosi satirica di una società corrotta e depravata che Guzmán rivela e condanna indirettamente dal luogo dal quale tutta la vicenda -che è la sua vita d'infame- emana: la memoria recuperata nella prigionia, l'evocazione del passato nel presente espiatorio della condanna. Dopo una lunga carriera di malefatte, era stato arrestato e processato a Siviglia e condannato inizialmente a scontare sei anni di galera, in seguito a un tentativo fallito di fuga, la pena viene commutata in galera a vita.

Ma qual era la funzione 'reale' del fondo morale presente nel
Guzmán? Un'esplicita finalità didattica (che tanto dimostrano di apprezzare i lettori del XVII secolo)? Una sovrastruttura nociva alle autentiche logiche della narrazione (come pensano quelli del secolo XVIII, che si preoccuparono anche di espurgare l'opera delle sue parti superflue)? O avevano invece una 'funzione cautelativa', come si inizia a credere in epoca romantica, quando Mateo Almán asssume il profilo di un autore falsamente conformista. Si può affermare che il dibattito sull'intentio auctoris non sia ancora chiuso.

La relazione dialettica tra il protagonista e la realtà circostante, sempre minacciosamente ostile, conduce il lettore nel nucleo centrale delle avventure come 'lotta per la sopravvivenza'. La tensione conflittuale di Guzmán e il mondo produce l'affermazione di un'ampia gamma di disvalori, innescati da un progressivo degradarsi dell'azione e da un progressivo adeguamento del personaggio a una simile degradazione morale. Le lunghe digressioni moraleggianti, allora, rallentando il ritmo della narrazione, evidenziano, per contrasto, il quadro della generale corruzione nonché i momenti più salienti dell'amaro disinganno del protagonista.

Insomma, tutto il libro è la storia di una redenzione e di una conversione, narrate a ritroso, dal loro compimento, e maturate di nuovo, alla luce di una
rememoración del peccato e la lucida meditazione di un passato che si sta scontando nel presente.


Edizioni

Guzmán de Alfarache, a cura di F. Rico, Barcelona, Planeta, 1983.
Guzmán de Alfarache, a cura di J. M. Micó, 2 vols. Madrid, Cátedra, 1987.
Per leggere l'opera in rete: http://es.wikisource.org/wiki/Vida_del_p%C3%ADcaro_Guzm%C3%A1n_de_Alfarache_%28Versi%C3%B3n_para_imprimir%29


Traduzioni italiane

La vita del furfante (Guzmán de Alfarache), Milano, Bompiani, 1980 (IV ed.)


Filmografia

Mario Monicelli
I picari (1987; con Enrico Montesano, Vittorio Gassman, Nino Mafredi, Giuliana de Sio)
http://www.youtube.com/watch?v=2HSblrYe1sc

Fernán Fernán-Gómez e J. L. García Sánchez
Lázaro de Tormes (2001) trailer: http://www.youtube.com/watch?v=gHMLc9PDLr8
sul film: http://www.labutaca.net/lazarodetormes/



Erasmo in Spagna e i dialoghi spagnoli della prima metà del XVI sec.

L’influenza di Erasmo sulla spiritualità spagnola è innegabile. Ma esiste anche una filiazione sulla letteratura profana dell’epoca di Carlo V. Il fiorire dei dialoghi, ad esempio, affonda le sue radici anche nella diffusione del pensiero di Erasmo che, con i Colloquia, aveva dato nuovo impulso al genere dialogico come modello di riflessione critica e filosofica, oltre che come mero esercizio di apprendimento scolastico. Infatti, se il 'colloquio erasmiano' ha un punto di partenza molto modesto nel ‘colloquio scolastico’, il metodo attraverso il quale si offrivano ai futuri umanisti modelli di conversazione in lingua latina -secondo l'ideale linguistico che considerava il latino non solo una lingua scritta ma anche viva, parlata-, Erasmo si era proposto di dare a queste conversazioni eleganti e familiari una materia più ricca di quella che normalmente confluiva nei colloqui scolastici. I suoi dialoghi sono conversazioni sui costumi,dell'epoca, intrise di allusioni agli avvenimenti politici, di dardi satirici, confidenze, ricordi e dibattiti che ruotavano intorno alle questioni più calde del tempo, e che indicavano certe tipologie di individui o categorie umane, ad esse connesse. Proprio per questo i colloqui divennero ben presto dei libri pericolosi: considerati libri polemici e satirici, saranno presto destinati alla proibizione. Erasmo è, a tutti gli effetti un Luciano moderno: la sua ironia è la versione attualizzata dell'ironia, dell'ingengo filosofico, della secca ed elegante fantasia di Luciano di Samosata, che Erasmo lesse e tradusse.
Quali sono, in Spagna, i principali esempi di questa vena satirico-critica del dialogo erasmiano?
Intorno al 1553, a Valladolid, si compone il
Crotalón, opera di Cristophoro Gnophoso, natural de la insula Eutrapelia, una de las insulas Fortunadas. Per alcuni il nome dell'autore nasconde quello si Cristóbal Villalón [Cristophoro trasposizione erudita di Cristóbal], umanista di Valladolid che studia ad Alcalá de Henares e a Salamanca (dove conobbe l'umanista Pérez de Oliva, autore del Diálogo de la dignidad del hombre), la cui opera conta di queste pubblicazioni:

- la
Tragedia de Mirrha
-
La Ingeniosa comparación entre lo antiguo y lo presente (1539);
- Lo
Scholastico, un dialogo che verte sulla formazione dell'uomo perfetto (perfetto discepolo, perfetto maestro, perfetto cittadino)
- Una
Gramatica castellana (1558)

Il
Crotalón racconta le conversazioni tra il calzolaio Micilo e il suo gallo che dimostra di aver avuto un’esistenza veramente avventurosa, al pari di quella degli eroi di un romanzo picaresco. Non una vita, ma mille esistenze, dovute alle sue molteplici reincarnazioni. Questo dialogo sarebbe rimasto un unicum nella storia dei dialoghi del sec. XVI se non ci fosse pervenuto il Diálogo de las transformaciones de Pitágoras, un'altra finzione lucianesca di uno spirito penetrato di erasmismo.
A Villalón è stata anche attribuita la scrittura di un'opera che, assieme ai dialoghi di Alfonso de Valdés, è da considerarsi uno dei più brillanti dialoghi della letteratura spagnola anteriore al
Coloquio de los perros di Miguel de Cervantes: El viaje de Turquía (la Odisea de Pedro de Urdemalas).
Un dialogo tra Pedro de Urdemalas (l’Ulisse spagnolo, che Cervantes consacrerà come eroe della sua
pièce omomima), Juan de Voto a Dios e Mátalascallando. Juan de Voto a Dios è un chierico ipocrita che approfitta della devozione dei semplici per arricchirsi, cui sottrae denaro con il pretesto di fondare ospedali e asili per i poveri; Mátalascallado è il suo compagno e astuto interlocutore [deriva il suo nome dall'espressione ‘matarlas en el aire’ che si applica all’uomo acuto e cortigiano].
Il libro si apre con un loro dialogo sul cammino francese, animato da un viavai di pellegrini. All’improvviso si avvicina loro uno strano pellegrino, Pedro, che si dirige loro in greco. Riconosciuto come un vecchio compagno di studio dell'Università di Alcalá, Pedro de Urdemalas ha fatto ritorno dalla terra dei Turchi, dove era stato prigioniero. Si apre così un dialogo tra i tre personaggi che è stato qualificato di anti-dialogo, che smaschera l'
insipientia e la falsa devozione di Juan de Voto a Dios:


[PASSO LETTO A LEZIONE]

JUAN.-Pues la mejor invención de toda la comedia está por ver; ya me maravillava que hubiese camino en el mundo sin fraires. ¿Vistes nunca al diablo pintado con ábitos de monje?

MATA.-Hartas vezes y quasi todas las que le pintan es en ese hábito, pero vibo, ésta es la primera; ¡maldiga Dios tan mal gesto! ¡valdariedo, saltatrás, Jesús mill vezes! El mesmo hábito y barba que en el infierno se tenía debe de haber traído acá, que esto en ninguna orden del mundo se usa.

JUAN.-Si hubieses andado tantas partes del mundo como yo, no harías esos milagros. Hágote saber que hay mill quentos de invenciones de fraires fuera d'España, y este es fraire estrangero. Bien puedes aparejar un Dioste ayude, que hazia nosotros endreça su camino.

MATA.-Siempre os holgáis de sacar las castañas con la mano ajena. Si sacáis ansí las ánimas de purgatorio, buenas están. Abran hucia.

JUAN.-Deogracias, padre.

PEDRO.-Metania .

MATA.-¿Qué dize?

JUAN.-Si queremos que taña.

MATA.-¿Qué tiene de tañer?

JUAN.-Alguna çinfonía que debe de traer, como suelen otros romeros.

MATA.-Antes no creo que entendistes lo que dixo, porque no trae aun en el ábito capilla quanto más flauta ni guitarra. ¿Qué dezís, padre?

PEDRO.-O Theos choresi.

MATA.-Habla aquí con mi compañero, que ha estado en Jerusalem y sabe todas las lenguas.

JUAN.-¿De qué paris estar bos?

PEDRO.-Ef logite pateres.

JUAN.-Dice que es de las Italias, y que le demos por amor de Dios.

MATA.-Eso también me lo supiera yo preguntar; pues si es de las Italias ¿para qué le habláis negresco? Yo creo que sacáis por discreción lo que quiere, más que por entendimiento. Ahora yo le quiero preguntar: Dicatis socis latines?

PEDRO.-Oisque afendi.

MATA.-¡Oíste a bos! ¿Cómo, puto, pullas me echáis?

PEDRO.-Grego agio Jacobo.

MATA.-Mala landre me dé si no tengo ya entendido que dize que es griego y ba a Santiago.

JUAN.-Más ha de media hora que le tenía yo entendido, sino que disimulaba, por ver lo que vos dixerais.

MATA.-Más creo que ha más de veinte años que lo disimuláis; sois como el tordo del ropavejero nuestro vezino, que le pregunté un día si sabía hablar aquel tordo, y respondióme que también sabía el Pater noster, como la Abe Maria. Yo para mí tengo que habláis también griego como turquesco.

JUAN.-Quiero que sepáis que es vergüenza pararse hombre en medio el camino a hablar con un pobre.

MATA.-Bien creo que os será harta vergüenza si todas las vezes han de ser como ésta; mas yo reniego del compañero que de quanto en quanto no atrabiesa un trumpho. Debéis de saber las lenguas en confessión.

JUAN.-¿En qué?

MATA.-En confussión, porque como sabéis tantas, se deben confundir unas con otras.

JUAN.-Es la mayor verdad del mundo.

PEDRO.-Agapi Christu elemosini.

JUAN.-Dize que...

MATA.-Dalde vos, que ya yo entiendo que pide lismosna. ¿Queríais ganar onrra en eso conmigo? Cristo, limosna ¿quién no se lo entiende? Las berzeras lo costruirán. Preguntalde si sabe otra lengua.

JUAN.-¿Saper parlau franches o altra lingua?

MATA.-Más debe saver de tres, pues se ríe de la grande necedad que le paresce haber vos dicho con tanta ensalada de lenguas.

JUAN.-El aire me da que hemos de reñir, Mátalascallando, antes que volbamos á casa.

MATA.-¡Cómo! ¿Tengo yo la culpa de que esotro no entienda?

JUAN.-Yo juraré en el ara consagrada que no sabe, aunque sepa cient lenguas, otra más elegante que ésta.

MATA.-Eso sin juramento lo creo yo, que él no sabe tal lengua, que por eso no responde.

JUAN.-Pues que estáis hecho un spíritu de contradictión, ¿sabrá ninguno en el mundo, agora que me lo hazéis dezir, hablar donde Juan de Voto a Dios habla?

MATA.-No por cierto, que aun en el mundo no se debe hablar tal lenguaje.

PEDRO.-No pase más adelante la riña, pues Dios por su infinita bondad (el qual sea vendito por siempre jamás) me ha traído a ber lo que mis ojos más han deseado, después de la gloria, ¡Oh mis hermanos y mi bien todo!

JUAN.-Deo gracias, padre, tenéos allá, ¿quién sois?

MATA.-¡Hideputa, el postre! ¡Chirieleison, chirieeleison! Bien deçía yo que éste era el diablo. ¡Per signum crucis atrás y adelante!

JUAN.-Esperadme, hermano, ¿dónde vais? ¿qué ánimo es ése?

MATA.-No oigo nada; ruin sea quien volbiere la cabeza; en aquella ermita si quisieres algo.

JUAN.-Tras nosotros se viene; si él es cosa mala, no puede entrar en sagrado; en el humilladero le espero; y si es diablo, ¿cómo dezía cosas de Dios?; acá somos todos.

MATA.-Agora venga si quisiere.

JUAN.-De parte de Dios nos di quién eres o de qué parte somos tus hermanos.

PEDRO.-Soy muy contento si primero me dais sendos abrazos. Nunca yo pensé que tan presto me pusierais en el libro del olvido. Aunque me veis en el ábito de fraire peregrino, no es ésta mi profesión.





lunes, 22 de febrero de 2010

Arduum est nomina rebus et res nominibus reddere


Difficile è restituire i nomi alle cose e le cose ai nomi, insegna Plinio nella Naturalis Historia e ripeteranno tutti gli umanisti, convinti come sono che dalla lingua -ma anche dall'agilità e dalla bellezza del discorso- passa tutta la cognizione della realtà. Lo stretto legame tra eloquenza e verità è uno degli strumenti con i quali si discutono le impostazioni concettuali dettate dalla scolastica, ancora troppo radicata nel tessuto universitario dell'epoca. Gli umanisti impegnati, come Erasmo da Rotterdam (1466-1536), a far vacillare l'edificio dialettico delle questiones e delle disputationes scolastiche puntano sugli strumenti della filologia come cardini sui quali far ruotare la costruzione e l'interpretazione non solo dei testi antichi -sacri o pagani che siano- ma anche, e di conseguenza, le implicazioni ideologiche che questo esercizio di recupero e di restauro comporta. L'eleganza del linguaggio, allora, da orpello retorico di un'argometazione arguta e persuasiva, diventa necessità di trasparenza e purezza di significato, strumento per lucidare il più opaco 'luogo comune' -come raccomandava Cicerone- nonché prezioso mezzo per far aderire le parole alle cose.
Si capisce allora perché l'umanista spagnolo Antonio de Nebrija (1441-1522), nel 1507, in una lezione che causò un certo scandalo all'Università di Salamanca, si riferisse alla
Biblia Poliglota Complutense lasciando trapelare il suo distanziamento dal modo di procedere degli umanisti riuniti ad Alcalá de Henares sotto il patrocinio del Cardinale Cisneros, che aveva dato precise istruzioni di attenersi scrupolosamente alle lezioni comunemente accettate dai manoscritti antichi, separando le tre tradizioni linguistiche del testo sacro (latina, ebraica e greca) che la Biblia Poliglota riproduceva in una medesima pagina affidandole al personale riscontro e/o raffronto del lettore erudito.
Né Nebrija né Erasmo parteciparono fattivamente alla compilazione della
Poliglota, eppure entrambi contribuirono con il loro lavoro e con il loro studio a una divulgazione del testo sacro il più possibile depurato dagli errori prodotti dall'ossidazione del tempo e da copisti ed esegeti poco attenti o incolti. Nebrija l'aveva fatto con le annotazioni filologiche del Tertia quinquagena (Alcalá de Henares 1516); Erasmo con il Novum Instrumentum (Basilea, 1516), una traduzione latina del Nuovo Testamento a partire dal testo greco filologicamente restituito (Textus Receptus) e accompagnato da un denso apparato di note. Prescindendo quasi totalmente dalla Vulgata, Erasmo si accingeva a liberare per la prima volta la Scrittura dal corsetto liturgico e teologico nel quale era stata imprigionata per secoli, insegnando che la pietas cristiana e l'esercizio di una fede autentica passano necessariamente attraverso la parola. La fede arriva laddove la lingua può rendere comprensibile le sue ragioni. Così, per Erasmo, il recupero di una cristianesimo puro, non dogmatico, libero dalle ossessive pratiche liturgiche e devozionali (culto dei santi, adorazione delle reliquie, forme di preghiera meccaniche, recitazione delle ore canoniche, genuflessioni, confessioni, digiuni, penitenze...), si ottiene necessariamente con la conoscenza diretta del testo sacro del quale è estremamente necessaria una traduzione in lingua volgare:

¿Qué mal se ve en que los hombres repitan el Evangelio en su lengua materna, la que ellos entienden: los franceses en francés, los ingleses en inglés, los alemanes en su lengua, los indios en la suya? A mí me parece mucho más reprobable, o por mejor decir ridículo, que los ignorantes y la mujeres mascullen en latín sus salmos y su oración dominical como loros, sin entender lo que dicen... [in Bataillon 1950: 134]

La 'filosofia di Cristo', come non cessa di insegnare l'
Enchiridion Militis Christiani (Il Manuale del cavaliere cristiano, 1503), deve essere vissuta e non argomentata.
Con lo stesso spirito divulgativo, Lutero nel 1522 dava alle stampe la traduzione tedesca della Bibbia, prendendo come base il
Novum Instrumentum di Erasmo. Prima di allora, il monaco tedesco aveva già dato il suo contributo allo spirito di riforma cristiana che si respira durante i primi anni del secolo. Tanto incisiva era stata la sua protesta contro le degenerazioni della Chiesa, anche dopo l'affissione delle sue 95 tesi (31 ottobre del 1517), da provocare di lì a poco la sua scomunica [bolla Exsurge Domine (1520) e Dieta di Worms (1521)]. Erasmo, che aveva più volte fatto appello alla tolleranza e alla pacificazione, inizia discretamente a prendere le distanze da Lutero, non smette di dichiararsi cristiano, rifiutando di solidarizzare con la ribellione luterana ma senza cessare di rivendicare un cristianesimo interiore, contro un formalismo e una devozione di facciata che hanno abbandonato la vera fede.
Se per gli umanisti Erasmo è il re degli studiosi, per gli scolastici e gli ordini monastici, tanto criticati nell'Elogio della follia (1511), è il nemico pubblico numero uno. Anche in Spagna, dove l'Inquisizione, pur mantenendosi favorevole agli scritti di Erasmo, è aperta a un confronto con coloro che li reputano un pericolo. Quando i superiori degli ordini religiosi stilano una lista delle preposizioni di Erasmo in odore di eresia, l'Inquisitore generale si vede obbligato ad accettare di sottoporre gli scritti di Erasmo a una commissione di esperti. La filologia applicata al testo sacro inizia ad essere una fonte di controversie. E, d'altronde, la 'dottrina della tolleranza' erasmiana diventa estermamente pericolosa in un momento in cui la Chiesa si sta impegnando a estirpare l'eresia lueterna. È indetta la Conferenza di Valladolid (1527): iniziata pochi giorni dopo il Sacco di Roma (6 maggio 1527) che scandalizza tutta la cristianità, tranne quegli umanisti, come Alfonso de Valdés (1490-1534), fiduciosi in una pacificazione universale che è la missione dell'Imperatore Carlo V. Si convoca una commissione di esperti teologi con la precisa intenzione di valutare l'ortodossia Erasmo. La gravità del dibattito è capitale: vi si oppongonoi due modi di intendere il cristianesimo e vi soggiace un errore di valutazione imperdonabile: l'ortodossia di Erasmo si stava giudicando in base a questioni di tipo filologico e di critica testuale, come avviene per la disquizione in merito al Comma Johanneum.
I dibattiti di Valladolid, proseguiti assiduamente per oltre sei settimane, si interrompono bruscamente restando indefinitivamente sospesi. Intanto, imperversa la peste. Lo scioglimento dell'Assemblea di Valladolid segna, se non una vittoria schiacciante per gli erasmisti, almenos una sconfitta per i loro detrattori: " de esa manera es como se la interpreta fuera de España" afferma Bataillon [1950: 268]. Tutto sembrava indicare che Erasmo godesse di nuovo di un'indiscussa credibilità.

Il 1527 è anche l'anno decisivo per le traduzioni di Erasmo in Spagna, che si moltiplicano fino al 1535, a un anno dalla morte dell'umanista a Basilea.
Si traduzono due tipologie di testi:

1. Testi che non toccano temi spinosi, come gli opuscoli devoti (
Comentarios de los salmos, Sermón de la infinita misericordia de Dios, Meditaciones de San Bernardo, Silenos de Alcibíades....)

2. Testi controversi, che avevano suscitato grande irritazione nei settori più ortodossi, come i Colloquia (Colloqui; tradotti in spagnolo come Coloquios familiares). La Moriae encomium (o Stultitia laus= L'elogio della follia) invece non fu mai tradotto in castigliano.

La divulgazione del pensiero di Erasmo in lingua spagnola è il segno di una libertà religiosa destinata ad esaurirsi molto presto. Nel 1535 la versione spagnola dei Colloquia di Erasmo è proibita dall'Inquisizione, con il pretesto che si tratti di una traduzione imperfetta e poco scrupolosa. Un anno dopo, con la morte Erasmo, si proibisce anche la stampa e la circolazione dell'originale latino. Negli anni che vanno dal 1530 al 1540 la macchina dell'Inquisizione ebbe un bel da fare per estirpare l'eresia luterana dalla Spagna cristiana. Tra gli uomini che svolsero un ruolo decisivo in quello che fu l'erasmismo spagnolo, molto pochi si salvarono dalle persecuzioni inquisitoriali: la maggior parte di loro, se non lasciarono la Penisola, furono processati, torturati e bruciati sul rogo.
L'Inquisizione spagnola è in un momento di grande espansione. Contro di essa, vi sono gli 'spiriti liberi' e l'odio accanito dei 'cristianos nuevos', contro i quali l'Inquizione era stata instituita. Ma ha dalla sua parte il sentimento dei 'cristianos viejos', un 'oscuro istinto egualitario' ben coltivato dai frati mendicanti e predicatori istruiti per diffondere e sollecitare le devozioni tradizionali. Il suo più efficace strumento: la delazione.
Tutti si trovarono così a partecipare all'azione inquisitariale, nella misura in cui gli Edictos de fe ordinavano di denunciare i più comuni 'delitti contro la fede' e ogni minimo sospetto di attività ereticale (ossia di professare la Ley de Moysén o di appartenere alle Secta de Mahoma, Secta de Lutero, Secta de los alumbrados).

Esempio di un Editto di fede promulgato a Valencia nel 1519.



Bibliografia

Bataillon,
Marcel. Erasmo y España, México-Buenos Aires, Fondo de Cultura Económica, 1950.
-----,
Erasmo y el erasmismo, Barcelona, Crítica, 1983.
Caro Baroja, Julio. Inquisición, brujería y criptojudaísmo, Madrid, Ariel 1970.
Correzzola, Lia. Erasmo da Rotterdam: la ragione e la storia [al quale si rinvia anche per un approfondimento bibliografico].
Huizinga, J. Erasmo, Torino, Einaudi, 1975 (I edizione, Leida, 1924)
Mesnard, P., Erasmo. La vita, il pensiero, i testi esemplari, Milano, 1971.
Rico,
Francisco. El sueño del humanismo (de Petrarca a Erasmo), Madrid, Alianza, 1993.







ALCUNE OPERE DI ERASMO DA ROTTERDAM (1469-1536)

Adagia (prima edizione 1500; edizione corretta e aumentata nel 1508; successive edizioni: 1518,1520,1523,1526,1528,1533 y 1536)

Enchiridion Militiis Christiani (Manuale del cavaliere cristiano) 1503

De ratione studii (Sulla ragione dello studio) 1511

Encomion moriae seu laus stultitiae (Elogio della follia) 1511

Institutio Principis Christiani (L'educazione del principe cristiano) 1516, dedicata a Carlo V.

Traduzione del Nuovo Testamento (testo greco e latino, 1516)

Parafrasi del Nuevo Testamento (1516)

Colloquia (I Colloqui) 1517. Successive edizioni aumentate e corrette dall'autore negli anni 1519, 1522, 1526, 1530.

De libero arbitrio diatribe (Sulla diatriba del libero abritrio) 1524: che scatenó la risposta di Lutero, con il suo De servo arbitrio, al quale Erasmo rispose a sua volta con Hyperaspistes del 1526 e Hyperaspistes (1527).

Preparatio ad mortem (La preparazione alla morte) 1534.